LA GITA

La terza media stava per giungere al termine e le cose per Giovanni erano serene e positive: i voti raggiunti lo mettevano in una situazione di totale tranquillità, restava solo da affrontare l’esame. Dopo aver persuaso la mamma, finalmente riuscì a ricevere l’autorizzazione a partecipare alla sua prima gita, la visita di un bellissimo e suggestivo santuario, la madonna nera di Tindari, in Sicilia. Il posto dove si sarebbe svolto il viaggio di istruzione era stato illustrato in tutti i minimi particolari dal professore di religione, che li avrebbe accompagnati: in materia di santuari, possedeva una vasta preparazione e una devota passione. Tale esperienza rappresenta, per tutti i ragazzini, un momento talmente bello ed emozionante, che difficilmente svanirà dalle loro menti. In quella tenera età è forte l’immaginazione, basata soprattutto su cose che si spera e si desidera che accadano e ciò accende in ogni adolescente il sogno di catturare quell’attimo d’immensa gioia, racchiuso in un miraggio, che è la felicità. 

L’euforia, che Giovanni provò la sera prima della partenza, fu talmente forte da portargli via la voglia di dormire. La mattina dopo, quando la sveglia suonò, immediatamente aprì gli occhi e provò un senso di piacere: questa volta il suo suono non era un fastidioso frastuono, tipico delle altre mattine! Senza perdere un solo istante, saltò fuori dal letto per raggiungere immediatamente il bagno. Tutto era piacevole, anche svegliarsi alle tre del mattino, benché la giornata fosse veramente imprevedibile. La prima cosa era raggiungere il posto da dove sarebbe partito il pullman. Tutti i ragazzini erano radunati lì e aspettavano la corriera. Dopo un po’, finalmente, s’intravidero i grandi e luminosi fasci di luce del pullman, che velocemente sfrecciava e illuminava le strade buie. Lì dominava profondamente l’oscurità. Tutto era caratterizzato da un silenzio profondo, che avvolgeva le vaste pendici dell’Aspromonte, che in tutti suscitava tanta soggezione. Immediatamente si accese un urlo di gioia che i ragazzini si lasciarono sfuggire. Quando il pullman si accostò e aprì i portelloni, un ammasso di ragazzini spinse gli uni contro agli altri, per tentare di salire per primi, per assicurarsi i posti preferiti. Il Professore, dopo aver verificato la lista dei ragazzi presenti, diede il via al conducente e il pullman lentamente partì. I ragazzini, pian piano, terminavano i loro ultimi discorsi per lasciar posto al sonno, facendo barcollare le loro teste sui sedili e nel pullman scese un po’ di quiete. 

L’alba avanzava e il sole faceva la sua debole comparsa e assomigliava ad una palla rotonda, di colore rosso, che si sovrapponeva alle limpide e quiete acque del mare. il pullman, inarrestabile, sfrecciava lungo le dolci colline dell’incantevole costa viola.  Giovanni come immerso in un bellissimo quadro, osservava l’immagine che la natura dolcemente offriva: al di sotto del tratto stradale si vedeva il mare, a forma di immenso canale, paragonabile ad un vasto fiume che separa le due stupende terre, a soli tre chilometri di distanza tra loro. Lungo questo tratto, soprattutto la mattina presto, si assiste ad un continuo via - vai di piccoli pescherecci, con la presenza delle cosiddette “feluche” a motore, caratteristiche per il loro pennone e la torre sorretta da tante funi. In cima c’è l’avvistatore e sulla lunga passerella il lanciatore con l’arpione in mano, pronto a colpire quando l’avvistatore gli segnala la presenza del passaggio del pesce spada. Congiuntamente, a bordo si inizia a virare verso la direzione indicata dalla vedetta. Il fiocinatore, attentissimo, impugna fra le mani una lunga asta di ferro e con i suoi occhi scaltri, scruta osservando con la massima attenzione ogni cosa sotto le limpide acque del mare, che proprio al mattino presto raggiungono la loro massima quiete. A volte il marinaio rimane lì appostato per ore con grande pazienza e tenacia, aspettando di avvistare la preda. Una volta individuato il branco, è importante che il marinaio riconosca la femmina. Se riuscirà ad ucciderla, colpendola con il lancio dell’asta, sarà una buona pesca, perché il maschio, che è quasi sempre inseparabile da lei, preferirà farsi uccidere, piuttosto che restare solo e seguirà la sua femmina sanguinante. Il marinaio poi secondo la leggenda, sarà facilitato ad ucciderlo. Questa è la triste e inspiegabile storia del pesce spada, che ogni marinaio, con commozione e profondo rispetto, narra. Ma ogni tanto una grande onda sobbalza e spinge di qua e di là il peschereccio; non è altro che il passaggio di una delle grandi navi, che costantemente scivolano lungo il loro tragitto, lasciando durante la loro lenta marcia scie di lunghe schiume bianche, nel bellissimo sfondo turchese del mare. 
Il pullman, in pochi minuti ormai, sarebbe giunto al posto d’imbarco su una delle tante navi: mentre una arrivava dalla Sicilia, un’altra partiva lasciando la sponda della Calabria, per giungere nell’isola e il via vai di questi traghetti non conosceva sosta, né di giorno né di notte. Incessantemente erano traghettati i veicoli e le persone da una sponda all’altra.

Proprio queste navi continuano ancora a collegare le due terre e non il faraonico ponte promesso astutamente da ogni governo di qualunque diversa coalizione politica d’appartenenza, con discussioni ed esemplari progetti che forse rimarranno solo nell’immaginazione di ogni calabrese e siciliano. 
Giovanni si accingeva per la prima volta ad attraversare il misterioso Stretto, citato anche da Omero nel lungo viaggio d’Ulisse. Vedendolo così da vicino, rimase meravigliato e attratto dalle sue caratteristiche naturali e dal senso di soggezione che esercitava e provocava in lui. 

Sul pullman, appena imbarcato sulla nave, nessuno avrebbe potuto impedire i chiassosi urli e i movimenti irrequieti dei ragazzini in festa gridavano e chiedevano di scendere al più presto, per riversarsi e invadere la nave, visitando ogni suo angolo. Giovanni osservava l’intero paesaggio, mentre la nave abbandonava lentamente la sponda della Calabria. Tutto si rimpiccioliva, ma gradualmente si vedeva sempre più l’estensione della costiera tirrenica e, man mano che la nave
si spingeva verso l’interno dello stretto, si intravedeva una parte della punta della città di Reggio,  mentre sull’altra sponda del litorale appariva l’incantevole Scilla. Sullo stretto, né d’estate, né d’inverno manca il vento che è accompagnato dal piacevole rumore delle onde, che inarrestabili continuano a battere contro i fianchi della nave. Questo suggestivo spettacolo induce in ogni passeggero una varietà di stati d’animo e di sensazioni; sicuramente la traversata dello stretto non lascia nessuno indifferente. 

Un uomo, durante la propria vita, non dovrebbe rinunciare ad almeno tre cose: la prima, invitare una donna che desidera ciecamente per un viaggio verso il sud del mondo; la seconda, invitare a tavola un numero di amici dispari, ma al di sopra di nove; la terza, scrivere qualcosa, un libro, una poesia o ciò che sente nel proprio animo. Lo studio, la preghiera, la fortuna di intraprendere numerosi viaggi e in aggiunta le esperienze di ogni genere di vita, rappresentano le cure per rendere l’animo di ogni uomo sempre più sensibile e nobile. 

La nave continuava il suo tragitto e, allontanandosi dalla sponda calabrese, si avvicinava sempre più verso la Sicilia. Il ponte mobile, giunti al porto di Messina, si abbassò lentamente fino a distendersi per creare il passaggio verso la terraferma. Il pullman e gli altri veicoli pian piano uscirono e svuotarono il traghetto. Il viaggio non era terminato, si doveva giungere a Tindari e se il traffico lo avesse consentito, in poco tempo si sarebbe potuti arrivare. Il prof. continuava con le sue raccomandazioni. I dialoghi accompagnati dagli sguardi che si intrecciavano tra i vari ragazzini, illuminavano e coloravano sempre più la dolce e gradita atmosfera che si era creata. Ognuno di loro desiderava trascorrere una bella e indimenticabile giornata. Giovanni ogni tanto osservava timidamente la sua ex compagna della prima A, Oriana. Era proprio una ragazzina simpatica, molto spigliata, indossava un bel vestitino e i suoi bellissimi capelli sciolti le cadevano dolcemente sulle spalle. Ogni tanto i suoi luminosissimi occhi incrociavano lo sguardo timidissimo di Giovanni. Lui pensava di dirle qualcosa, ma l’emozione era molto forte, tanto da non concedergli alcuna possibilità di esprimersi. L’unico dolce conforto era attirare per brevissimi istanti il suo sguardo, pensando che la gita era ancora all’inizio e tutto poteva accadere. Il prof. puntualmente, con la sua voce sempre pacata e calma,  invitava tutti a non urlare troppo e a preparare gli zainetti, poiché si era prossimi all’arrivo. 
Giunti al paese di Tindari, su in piazza, il pullman dopo aver accostato, finalmente spalancò i suoi enormi portelloni. I ragazzini gioiosi si spingevano gli uni verso agli altri per scendere al più presto. Era una giornata luminosissima, il sole splendeva nel cielo, non c’era nemmeno una nuvola e per fortuna non soffiava il vento. Il professore, alzando la mano verso l’alto e con la sua voce docile, indicò la direzione facendo segno di seguirlo. Il punto che dovevano raggiungere era vicinissimo, bastava percorrere fino in fondo il tratto di strada dove s’intravedeva un muretto, che segnava la fine della strada stessa; accanto c’era il dirupo che, a strapiombo, finiva su una piccolissima spiaggia, che lasciava poi il posto al mare, dove si vedevano strane e meravigliose sacche di sabbia. Lo spettacolo era indescrivibile, di un incanto maestoso! I colori azzurro turchese del cielo e del mare all’orizzonte si mescolavano e in mezzo al mare le caratteristiche “Secche” separavano le acque e formavano dei piccoli laghetti. Tutti i ragazzi erano lì, incollati al muretto a vedere lo splendido spettacolo e a udire la melodia della pacata e a volte squillante voce dell’appassionato e saggio professore. Egli con estremo diletto e profondo senso di conoscenza, narrò nei dettagli la storia e la leggenda. Grazie alla sua incisiva e penetrante erudizione sull’argomento, tutti erano immersi ad ascoltarlo e, a distanza di quasi trent’anni, a Giovanni sembra ancora di essere lì,  vicino a quel muretto. 

La meta da raggiungere era la visita dell’effigie della Nigra Sum. I ragazzini dirigendosi verso il sacro luogo, formavano i diversi gruppi: Oriana non apparteneva al gruppo di Giovanni. Lui, a vederla parlare sempre con il solito ragazzino, soffriva ma questa era la vita, bisognava accettare tutto in silenzio. Però si era fissato e non mollava: alla prima occasione che si fosse presentata, giurando di vincere l’emozione, avrebbe almeno tentato di instaurare in qualche modo un dialogo, incrociando le dita e sperando di non essere rifiutato. 

Nell’età dell’ adolescenza tutti i ragazzi attraversano una fase instabile e difficile. È sicuramente il periodo più delicato della propria esistenza: la timidezza verso le persone; la paura di sbagliare ciò che si intraprende; i cambiamenti cui si è sottoposti fisicamente; la difficoltà ad accettarsi guardandosi allo specchio. Non parliamo poi della fatica di concentrazione, accompagnata dalla facilità a distrarsi alla prima cosa che accade e, soprattutto, il continuo pensare a ciò che passa per la mente. Se poi aggiungiamo, in alcuni casi disperati, i gravi e difficili problemi familiari, ci accorgiamo facilmente che tutti questi elementi messi insieme fanno sì che ogni adolescente incontri veri e propri ostacoli nel vivere serenamente il periodo più bello dell’esistenza. 

I ragazzini, insieme al professore, camminavano lungo le vie delle strade quasi deserte, sotto quel caldissimo sole che li illuminava ovunque. Solo le piante di ulivo e di mandorlo facevano da ombrello e offrivano ai pellegrini un piacevole ristoro. I ragazzini, presi dalla stanchezza e dal forte caldo, erano costretti a sostare sotto gli alberi. Tolti gli zainetti e qualche maglietta in più, era impossibile non guardare verso l’orizzonte dove si vedevano i raggi che scendevano a picco sul mare rispecchiandosi, come tanti piccoli oggetti luminosi che galleggiavano, dondolandosi incessantemente. Il tutto era accompagnato dal canto assordante delle cicale, presente ovunque. La chiesa era vicinissima e tutti erano curiosi di vedere la sacra madonna nera, la cui effigie era qualcosa d’incredibile. In silenzio, dentro la chiesa, i ragazzini attorno al professore osservarono la bellissima statua e ognuno, con ardito desiderio dentro di sé, la ammirava e l’implorava. 

Al sud, il popolo è molto devoto alla religione, che forse è sempre stato l’unico elemento da cui ricevere conforto e speranza. La gente prega e implora i santi, la madonna e Gesù per un vero cambiamento e un senso di giustizia. Soprattutto le persone che rappresentano i ceti più umili, gente disperata che ha conosciuto solo pesanti ingiustizie. Ma non basta solo pregare e sperare nelle solite promesse di cambiamento, fatte dalle astute e spietate leve dei vari poteri che circondano e soffocano il meridione in genere; non è più neanche il tempo delle massicce emigrazioni al nord, perché ormai non c’è più convenienza anche al nord le cose stanno cambiando di anno in anno e con l’arrivo massiccio degli extra comunitari, si sta modificando radicalmente la domanda di lavoro. 

Al sud bisogna lottare e credere ad un vero cambiamento, tutti quanti, dagli strati più umili a quelli più alti dell’intero sistema sociale. Bisogna avere il coraggio di scommettere e investire sulle proprie risorse e sul bellissimo territorio. Il sud può incrementare l’economia di mercato e distaccarsi dai dannosi finanziamenti a pioggia, per dar posto agli interventi strutturali. Questa terra, dotata di lunghe spiagge, vaste aree agricole, accompagnata da un clima mite e temperato, può puntare verso una svolta strategica. Ma è richiesto un nuovo approccio dai politici locali, ovvero cambiare definitivamente i vecchi schemi di basso livello, basati su un supporto clientelare; è richiesta una metodologia più organizzata ed efficiente per rilanciare queste aree del territorio nazionale verso la giusta direzione, affinché possano trasformarsi e divenire, per i cittadini, fonte di reddito e di solidi guadagni. Ma il cambiamento non deve riferirsi solo al mondo politico. Nel meridione d’Italia la società, da un lato, deve continuare a conservare i bellissimi valori che tuttora possiede, a partire dal profondo senso di calore che la gente in generale manifesta verso l’ospitalità, fino ad arrivare a quel marcato senso d’umanità che la distingue. Dall’altro lato il modo di pensare della gente su alcuni obiettivi di grande interesse, dovrebbe iniziare a mutare, tentando di cambiare la vecchia impostazione nel mondo del lavoro; facendo un vero e proprio salto di qualità, che consiste nel convincersi che non esiste solo la concezione del pubblico impiego, come unico sbocco verso un’occupazione sicura e soddisfacente, ma si devono intensificare maggiormente gli sforzi verso una cultura della produzione di beni e servizi, sviluppando i vari settori privati dell’economia locale. È fondamentale investire risorse per promuovere e rilanciare sia l’immagine stessa del meridione, sia i prodotti locali, attraverso idonee ed efficaci politiche di marketing, per la conquista di nicchie di mercato nel mondo. 

Tutti noi invochiamo il cambiamento, non solo nella società in cui viviamo, ma soprattutto in noi stessi. Questo sentimento si manifesta nella maniera più intensa allorquando si viaggia e si vedono cose e modi di vivere che prima erano inesistenti, non solo nella nostra vita quotidiana, ma anche all’interno del nostro pensiero. Ecco perché serve conoscere posti e culture diverse, proprio allo scopo di arricchire ulteriormente il nostro animo, espandere e diversificare il modo di pensare, spingendoci verso un cambiamento in meglio, soprattutto in noi stessi. 

Anche a Giovanni la gita fece quest’effetto. Lui e tutti i suoi compagni avevano invaso un bar ed erano seduti attorno ai tavolini, sotto un’immensa pergola che riparava dal sole e sostituiva molto meglio le tende e gli ombrelloni. I ragazzi ordinavano le solite bevande: latte di mandorla e menta per dissetarsi dal forte e irresistibile caldo e consumare qualche boccone. Finalmente tutti erano riuniti a parlare e a ridere. Il prof. continuava a controllare che tutto procedesse per il meglio. Tutti apparivano allegri, chi più e chi meno. 

In quel preciso istante per Giovanni si accendeva il momento più bello della giornata. Casualmente era seduto allo stesso tavolo di Oriana, ma non fu facile iniziare un discorso: di che cosa parlare? Che cosa raccontare? Come al solito si sentiva bloccato. La timidezza e la paura di sbagliare gli impedivano di intraprendere qualunque dialogo. Ma lei, spigliata e disinvolta, iniziò: “Allora, Come ti trovi nel corso B?”
Lui le rispose: “Bene Oriana! Però mi mancate voialtri del corso A. Sarebbe stato bello, e credo anche divertente, trascorrere gli anni scolastici insieme.” 
“Mi ricordo che eri un tipo allegro.” 
Giovanni spiegò la vicenda e disse: “Volevo studiare la lingua inglese e non il francese.”
“Non sei stato fortunato.”
“No, al mio solito, non ho avuto quasi mai molta fortuna, soprattutto quando desidero fare cose che mi piacciono. C’è sempre un impedimento, forse sarò fortunato più avanti.” 
“Te lo auguro.”
Giovanni le domandò, con un filo di voce sottile e commossa: “Ma allora, in classe, quando mi hanno trasferito si è sentita un po’ la mia mancanza?” 
Lei intenerita, guardandolo attentamente, con la voce un po’ debole gli disse: “Sì, ricordo che eri veramente simpatico e secondo me il trasferimento è stato molto ingiusto: dovevi ribellarti!” 
“Avrei dovuto, ma sapevo benissimo che non avrei ottenuto nulla, ormai è andata così.” 
I due pian piano instaurarono, con molta naturalezza, un coinvolgente dialogo. Lui aveva finalmente vinto in parte la timidezza e si sentiva molto più tranquillo. Invece lei curiosa e socievole, continuò a fare domande. Dopo un po’, il dialogo dovette terminare, perché l’ora di pausa finì. Il prof. invitò tutti quanti a lasciare il bar, per continuare l’itinerario della gita. 

Il sole cominciava a perdere la sua intensità, i ragazzini avevano camminato tutto il giorno e la stanchezza aumentava: Giovanni era spettinato e il volto era lievemente arrossato. Tutti erano seduti in spiaggia al mare e ogni tanto arrivava qualche onda fino a bagnare loro i piedi: parlavano tra di loro e gustavano gli ultimi raggi di sole. Egli, finalmente, si accorse che Oriana si era staccata dal solito gruppetto e soprattutto non le gironzolava attorno l’altro ragazzo. Allora si alzò e senza esitare andò verso di lei, che era intenta a osservare le onde del mare che si avvicendavano le une alle altre, e giunto lì le disse: “Come mai sei sola?”
Lei, con un tono di voce pacato, gli rispose: “È attraente osservare questo bel mare.” E seduta lì al bordo della spiaggia, lanciava qualche sassolino verso il fondale.
“Ma oggi ti sei divertita?” 
“In parte sì e in parte no, mi ero un po’ annoiata a stare con il solito gruppo e sentire le solite cose. Ho voglia di fare qualcosa di diverso, soprattutto qualche risata in più.” 
“Allora ti propongo una passeggiata su in piazza, così compriamo qualcosa.” 
“Sì!” ma poi riflettendo disse: “Ho un po’ di paura ad abbandonare i compagni, perché temo che il prof. possa accorgersene e ciò mi darebbe fastidio.” 
“Ma no! Il prof. non s’accorgerà di nulla!” e le spiegò come fare ad allontanarsi, senza che nessuno si accorgesse della loro mancanza. Il prof. suonava la chitarra e cantava ed era accerchiato da tutti i ragazzini. Lui le disse: “Se il prof. dovesse accorgersi della nostra mancanza, gli diremo che siamo andati a fare un giro lungo la spiaggia”. 

Lei, guardando negli occhi Giovanni e piena d’entusiasmo, gli rispose: “Andiamo via, ma facciamo attenzione a non essere notati da nessuno.” Superata la spiaggia e giunti sulla strada, dove non potevano essere più visti né dal prof., né dai loro compagni, ci fu subito un urlo di gioia e un forte abbraccio. La prese sottobraccio e fissandola negli occhi le disse: “Non temere nulla, impiegheremo poco tempo.”
“Io non ho paura, anzi mi fa piacere, e finalmente mi sto divertendo.” 
Entrambi allegri, s’incamminarono verso la piazza. La gioia di stare assieme era forte e mentre camminavano, lei gli disse: “Spero veramente che il prof. non se ne accorga, altrimenti che figura facciamo?” 
“Ma stai tranquilla, non se ne accorgerà!” 
“Ma sì! In fondo non stiamo facendo altro che una semplice passeggiata, poi siamo in gita” e lei con il suo tenero e dolcissimo sguardo continuava a fissare negli occhi Giovanni e a tratti sorrideva. Poi aggiunse: “Se non si ha qualche ricordo, non è divertente” e lui in modo simpatico e per darle maggiore sicurezza, l’abbracciò interrompendo il cammino e con entusiasmo le diede conferma: “Anch’io là al mare mi stavo annoiando, ma ora con te è tutto diverso.” 

Giunti su al paese, la piazza era affollata di persone, come di solito avviene in un paesino del meridione nel tardo pomeriggio quando quasi tutti si recano in piazza per discutere, formando tanti gruppi. Loro due, contenti e felici, anche se accompagnati a tratti da un senso di colpa, cercavano di trovare un bar o una bottega per prendere qualcosa da bere. Dopo un po’ di ricerche, si accorsero che lì vicino c’era un negozio aperto. Una signora sistemava i propri prodotti e, vedendoli arrivare, con un sorriso disse: “Cosa posso servivi?” Le chiesero qualcosa da bere e, prese le bevande, Giovanni disse: “Sai in questa bottega ci sono delle cose carine, se trovo qualcosa di grazioso, la compero per regalarla ai miei.” 
“Anch’io do uno sguardo.” 
Guardandosi in giro, i ragazzini alla fine comprarono alcuni regalini e uscendo dal negozio si incamminarono verso il mare, ma durante il tragitto Giovanni tirò fuori uno di quei regali  e le disse: “Questo è per te, così almeno avrai un bel ricordo della gita, spero che ti piaccia.” 
Lei contenta lo prese e dalla gioia spontaneamente lo abbracciò, dandogli un bacio sulla guancia. Lui fu talmente felice che non gli sembrava vero e pensò di essere in un sogno, quando poi si presero per mano. Giunti vicino alla spiaggia, in un posto con un’incantevole vista sul mare, si abbracciarono stringendosi l’uno all’altra e si diedero un bacio sulle labbra. Per Giovanni era la prima volta in assoluto e gli sembrò di essere alle porte del paradiso, continuò ad abbracciarla e ad accarezzarle il viso e con grande desiderio, le disse: “Ti voglio bene.” 
Lei sussurrando gli rispose: “Anch’io!” Dopo un paio di minuti di intensa tenerezza, lei disse: “Andiamo dagli altri, però ti raccomando, facciamo finta che nulla sia accaduto.” e s’incamminarono. 
“È meglio se vai avanti tu per prima e raggiungi i nostri compagni, poi dopo un po’, separatamente arriverò io.”
“Ok., ma sono un po’ agitata.”
“Non temere Oriana! Fai finta di nulla, nessuno può dire che eravamo assieme e caso mai, mi scuserò con il prof. gli riferirò che sono andato al bar, che avevo sete e voglia di un gelato.”
“Invece io dirò che sono andata a controllare, se la mia maglia era rimasta sul sedile del pullman, perché temevo di averla persa.”
“Brava! perché il pullman è parcheggiato dalla parte opposta del paese, dove ci sono i bar.”
Oriana sicura e contenta, lo abbracciò e gli disse: “È stato veramente bello, ci vediamo dopo”. Man mano che si allontanava, ogni tanto si girava fissando lo sguardo, profondamente, negli occhi di lui, come fossero una fortissima calamita e non riusciva a staccarsi dai meravigliosi e irresistibili sguardi. Giovanni non trattenne ciò che provava dentro di sé e lo manifestò marcatamente con un tono di voce alto e sicuro: “Ti voglio bene!” La ragazzina, allegra e alzando la mano per salutarlo, gli rispose con una voce dolce: “Pure io, a più tardi”. All’improvviso scomparve. Lui era felice, ma provava un pizzico di tristezza dovuto al distacco da lei. Rimase lì per un paio di minuti, poi pensò di ritornare alla bottega per comprare qualcosa. Prese una bottiglia di coca-cola e dei dolci secchi, per far scorrere un po’ di tempo, in modo che lei raggiungesse il gruppo. Dopo un po’ si incamminò verso il mare. 

Giunto lì, il professore attento come una volpe e anche un po’ agitato, gli disse: “Ero preoccupato e in ansia per la tua assenza, lo sai? Dimmi perché non mi hai chiesto il permesso di allontanarti?” Giovanni provato dalle grida cercò di giustificarsi, ma poi il professore calmatosi un po’ gli disse: “E’ importante che tu mi avvisi, quando ti allontani per qualunque cosa. Ricorda che in gita è il momento più opportuno per stare insieme agli altri, spero che tu mi abbia capito!” Egli rispose di sì, facendo un cenno con la testa, ma già il suo sguardo era proiettato verso i bellissimi occhi di Oriana. Subito dopo si avvicinò un ragazzino e gli chiese: “Ma tu eri insieme alla mia compagna? Perché ho notato che anche lei non c’era, quando tu eri via.” 
Giovanni fermamente gli rispose: “ No! Io ero su da solo!” 
“Ah, va bene.” rispose Antonio
“Chi è la tua compagna?” Antonio ingenuamente gliela indicò. “Magari fossi stato assieme a lei: è tra le più carine! Tu che ne pensi?”
“Forse sì”. 

Giovanni moriva della voglia di dirglielo, ma temeva che potesse parlare con altri. Così avrebbe tradito la promessa fatta a lei. Era costretto a tenersi tutto dentro, come se nulla fosse accaduto. Anche se Giovanni era un po’ distante e non faceva parte del gruppo di Oriana, ugualmente riusciva a comunicare con lei, tramite i dolcissimi e intensi sguardi che lanciava, nei momenti in cui nessuno se ne accorgeva. Lei prontamente ricambiava. 

Lo scenario iniziava ad essere veramente suggestivo e variopinto per i tanti miscugli di colori che dolcemente la natura concedeva, il sole era debolissimo, quasi rosso e si riusciva addirittura a fissarlo con lo sguardo e i suoi raggi coloravano l’incantevole sfondo turchese del mare. Questi erano talmente deboli e dolci da non far paura, ormai, neppure a quei ragazzini scottati e arrossati. Era giunto il tramonto. Il giorno stava per imbrunirsi e anche la gita stava per terminare. La voce seria e risoluta del prof. si fece sentire. Con molto garbo invitò tutti a prendere le proprie cose e a dirigersi assieme lungo la strada, per raggiungere il parcheggio dei pullman. Quel restante tragitto rappresentava per Giovanni l’ultima possibilità di poter dire qualcosa di grazioso e piacevole a Oriana, ma lei era sempre assieme al solito gruppetto. Lui non si arrese e studiò un piano: prese sottobraccio Antonio e gli disse: “Hai notato qualcosa?” 
“No!” 
“Guarda in quel gruppo, dove c’è la tua compagna di classe, lì c’è una ragazzetta che continua a 
girarsi e a guardarti: tu forse non ci hai fatto ancora caso.” 
“Non ho notato niente, ma sono molto contento!” 
“Che ne pensi, se ci aggreghiamo al gruppo?”
Antonio, come un piccolo tonno, cadde nella rete. Con gli occhi lucidi e l’allegria che lo travolgeva, disse a Giovanni: “Andiamo subito a raggiungerli!”
“Perfetto, così potrai, con la scusa di salutare la tua compagna, far conoscenza con la sua amica.”
“Forza, su! Andiamo, non vedo l’ora di conoscerla!” 
Giovanni e Antonio, dopo una veloce camminata, raggiunsero il gruppetto. Lì Antonio salutò la sua compagna di classe e disse: “Ci uniamo a voi per raggiungere il pullman insieme.”
Lei con entusiasmo rispose: “Più siamo e meglio è!” e subito seguirono le presentazioni. Giovanni fece finta di nulla. Il soffocante amichetto di Oriana era un po’ turbato e anche infastidito e si notava che non gradiva per nulla la loro presenza, ma raggiunse il livello massimo d’agitazione, quando Giovanni e Antonio si misero a parlare con le ragazze e formarono le coppiette, distaccandosi dal gruppo. L’altro ragazzetto si ritrovò a camminare da solo, mentre Antonio raggiante di felicità, gli fece un cenno col viso, come per dire “ce l’abbiamo fatta!”. Giovanni e Oriana camminavano un po’ distaccati dal gruppo. Egli Cercava di approfittare per starle vicino il più possibile. Lei fu contenta della strategia che egli aveva adottato e volentieri trascorse gli ultimi momenti della gita insieme a lui. 
“Hai fatto bene a venire a trovarmi con il mio compagno di classe.”
“Avevo molto desiderio di starti vicino e parlare, già mi mancavi, figurati quando ci separeremo!” 
“Anch’io pensavo a come poter trascorrere questi ultimi momenti e, già che siamo in compagnia, dobbiamo fare in modo da sederci vicini anche sul pullman”. Rispose Oriana. 

Quando giunsero nei pressi del pullman, lei disse a Giovanni: “Andate velocemente avanti, tu e Antonio, e cercate di prendere dei posti dietro per stare assieme; se sono già occupati prendi tu un posto per me e lui uno per la mia amica, che le parlerò e le spiegherò tutto.” 
Lui accettò e velocemente si avvicinò al suo compagno, che era preso a discutere con l’altra ragazzina: “Antonio, devi venire con me ad occupare i posti dietro, per stare tutti assieme”. L’altro subito accettò e di corsa si incamminarono verso il pullman. Tuttavia, i posti erano già stati occupati, rimanevano due posti dietro e due davanti e in qualche modo potevano essere vicini per chiacchierare. Giunte le ragazze, sistemati gli zainetti, ognuno prese posto. Il prof. dopo aver verificato che tutti fossero sul pullman, diede ordine all’autista di partire. 

Il pullman velocemente attraversava la costa di Messina, per giungere al porto. Ormai era sera, si vedevano le luci dei lampioni, quando si attraversavano i paesi. I ragazzini erano stanchi e si accasciarono sui sedili del pullman.  Giovanni era veramente felice, la voce di lei gli sembrava una dolcissima musica, era bello sentirla parlare con i due compagni, che continuavano a tenere banco. Dopo un po’ lei si protese in avanti e chiudendo il dialogo con gli altri di dietro, guardò lui e gli disse sottovoce: “È stato veramente bello incontrarci e passare questi piacevoli momenti.”
“Anche per me è stata una giornata indimenticabile, il giorno più bello della mia vita!” guardandosi in giro, in modo che nessuno se ne accorgesse e sperando che lei non si rifiutasse, avvicinò la mano alla sua. Lei dolcemente si fece accarezzare e poi strinse la mano di Giovanni. Lo sguardo di Oriana era incantevole e compenetrato nella profondità degli occhi di Giovanni. Nel pullman si udiva il bisbiglio delle voci degli altri, ma tra loro due regnava il silenzio: i dialoghi erano sostituiti da attenti, discreti e profondi sguardi, che erano accompagnati dalle mani strettamente unite e ben nascoste agli occhi indiscreti di compagni maligni. Per Giovanni e Oriana, tutto ciò rappresentava l’espressione e la comunicazione del bellissimo linguaggio che spontaneamente era nato tra loro. 

Il pullman percorreva la strada stretta e avvolta in curve e semicurve, a tratti in salita e a volte pianeggiante, che dalla città porta verso il paesino all’interno dell’Aspromonte. La sera ormai era scesa in quei colli oscuri e misteriosi. Le luci si intravedevano solo quando si attraversava qualche paese, poi si piombava nel buio e raramente si incrociavano altre vetture. Ma lo sguardo dal buio si proiettava verso le luci della ormai lontana città. Quasi tutti i ragazzini erano quieti e silenziosi. Si udiva solo la voce del prof. che come un’assordante cicala, incessantemente continuava a chiacchierare con il conducente del pullman e poi proseguiva con alcuni alunni.  Giovanni era stanco, ma molto contento, per la bellissima giornata trascorsa e soprattutto per la dolcissima compagnia della desiderata ragazzina che gli sedeva accanto. A tratti staccava la mano per poi accarezzarle l’altra. La vita in quel momento gli sorrideva nel migliore dei modi. Era ormai prossimo l’arrivo del pullman al paese, nel punto da dove si era partiti. 

Lei con garbo disse: “Sicuramente all’arrivo ci sarà mia mamma, sarà meglio salutarci qui, sul pullman. A te chi verrà a prenderti?” 
“Nessuno! Devo arrivare a casa da solo!” 
“Non hai paura a camminare al buio, dal paese fino a casa tua?” 
“Non ho paura, ma ci sono tratti che sono veramente bui, quando arriverò lì cercherò di non pensarci, soprattutto in un posto dove c’è una casa abbandonata.” 
“Mi dispiace che non c’è nessuno a farti compagnia durante quel lungo tratto di strada”. 
“Non preoccuparti, ho coraggio.” E lei, terrorizzata, continuava a stringere la mano di Giovanni come per dargli un po’ di sostegno e conforto. Guardandolo negli occhi, gli disse: “Non devi spaventarti, promettimelo!” 
“Non sono il tipo! E poi questo tragitto l’ho attraversato altre volte. Stai tranquilla, pensa a quando eravamo a Tindari da soli e lo stesso farò io.” 
“Sì, eccome se lo farò!” 
Egli sospirò e disse: “Ci vedremo lunedì a scuola, perché io domani, che è domenica, non verrò al paese. Dovrò aiutare mia mamma.”
“Bene, ora stringiamoci per l’ultima volta la mano, perché il pullman è arrivato e i genitori sono là fuori!” 
Giovanni, stringendole la mano disse: “A lunedì!” salutò Antonio e la sua amichetta, prese lo zainetto e scese dal pullman assieme agli altri. Tutti i genitori erano fuori che attendevano: lui invece era da solo, con il suo zainetto. Oriana, scesa dal pullman, abbracciò la mamma, una raffinata e distinta signora. I ragazzini, contenti, raccontavano ai loro cari l’esito della gita. Lui era lì a guardare gli altri e si sentiva escluso e molto solo. Ognuno, come prima cosa, dava il suo zainetto per farselo portare. 

A lui invece non rimaneva altro che incamminarsi da solo, col pesante zainetto da trasportare verso casa: c’era quasi un’ora di cammino, prima di arrivare! La strada fino giù al torrente era facile e in discesa, non sentiva il senso di paura nel percorrerla, anche perché c’era, sparso ogni tanto, qualche lampione, ma dopo il ponte tutto sprofondava nel buio e lì Giovanni iniziava a sentire l’ombra della paura. Ogni genere di rumore gli provocava una fortissima inquietudine, anche se dopo un po’ capiva che si trattava del rumore del vento che faceva frusciare i rami degli alberi o il guaito di qualche cane, che per fortuna non era aggressivo. Quei bei momenti trascorsi in gita ora erano destinati ad essere scontati con la stanchezza e la paura. Ma lui era coraggioso, forte e voleva lottare per affrontare con rabbia e orgoglio il tratto di strada buia. Lì anche gli adulti temevano il peggio. Lui giurava dentro di sé che un giorno sarebbe andato via da lì. Desiderava vivere in città, dove le strade erano illuminate e alla fine dell’orario dei pullman c’erano almeno i taxi da prendere per arrivare a casa, invece di andare a piedi lungo i sentieri, sbattendo di qua e di là, ora in questo ciottolo, ora in quell’altro sasso, e che dolore! La solitudine, il buio, che vita dura per i “campagnoli” d’Aspromonte! Ma Giovanni non si piegava, continuava a camminare, sperando nella provvidenza, che un giorno le cose sarebbero migliorate, ma anche se non osava rinnegare ciò che la vita gli stava offrendo. 

Giunto finalmente vicino alla sua abitazione, si accorse che c’era ancora una luce accesa che illuminava la finestra della cucina, era già mezzanotte passata, sicuramente era la mamma ad aspettarlo! Aprì il cancello per entrare e lei, udito il rumore, subito venne fuori e disse: “Finalmente sei arrivato!” 
“Per favore mamma, toglimi lo zainetto, che non ce la faccio più!” 
Lei, immediatamente, afferrò lo zaino e lo tolse dalle larghe spalle del figlio, lo abbracciò e gli chiese: “Come è andata la gita?” 
“Bene, mamma!” 
“Hai mangiato? Siediti a tavola, che ti riscaldo il cosciotto di pollo, che a te piace tanto!” 
“Sì mamma, ho un po’ di fame.”
“Io volevo venire a prenderti al pullman, ma tu mi avevi detto di non venire, non immaginavo che saresti arrivato così tardi! Dimmi, hai avuto paura?” 
“Mamma, ormai è tutto passato, abbandona questa maglia, la finirai domani.”
“Sono rimasti altri pochi colpi di carrello per finirla, l’ho fatta questa sera, mentre ti aspettavo; il papà ha cercato di farmi compagnia nel seggiolone, ma era molto stanco dalla giornata di lavoro e si è addormentato.”
“Poverino, il papà è sempre stanco.”
“Certo! I lavori in campagna, più il suo lavoro in ditta, per lui non è semplice. Domani quando sarò lucida e riposata, finirò di imbastirla e comporla.”
“Riposati mamma, che anche tu lavori troppo!”
“Non posso, perché lunedì la dovrò consegnare alla nostra cliente”. Giovanni, quando la mamma terminò l’ultimo colpo di carrello, come al solito tolse i pesi che tiravano verso il basso la maglia. La mamma sfilò dal carrello il pezzo fatto e lo aggiunse agli altri. Entrambi erano stanchi, ma contenti: lei perché aveva visto arrivare a casa il figlio allegro e felice e lui per aver avuto un giorno pieno di emozioni.    

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